google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0 TUTTOPROF. google.com, pub-4358400797418858, DIRECT, f08c47fec0942fa0

Viaggio nella scuola, prima parte

Intervista a Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile, fatta da Giuseppe Stabile e pubblicata il 1 Set 2008 sul mensile Acqua&Sapone che vale la pena di essere riletta.

Le vacanze se ne vanno e la scuola ritorna ma, purtroppo, tanti problemi restano: noi di Acqua&Sapone vogliamo dare il nostro contributo per approfondire la tematica dell’educazione, argomento che riguarda tutti, non solo i più giovani e le loro famiglie, incidendo profondamente sul futuro del Paese. Racconteremo esperienze ed incontreremo esperti, ben sapendo che, seppur siano in molti ad affannarsi nel dare ricette e nel proporre riforme, resta vero quello che scrisse il grande Don Milani (1923 – 1967):

“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio a averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma come bisogna essere per far scuola… “.
Il nostro primo incontro è con Giovanni Bollea, il padre della Neuropsichiatria Infantile, un uomo straordinario che, con coerenza e concretezza, ha dedicato tutta la sua vita ai bambini ed ai ragazzi.

Professor Bollea, cosa dovrebbe dare la scuola ai nostri figli?

«Il bambino ha bisogno solo di Amore e, dunque, anche lo Stato, ed in particolare la scuola, dovrebbe essere capace di amare i figli degli italiani. Il sistema scolastico deve sentire e concretizzare questo dovere, adattandosi continuamente alle esigenze sempre mutevoli della società nella quale viviamo. La scuola dovrebbe essere profondamente comprensiva dei bisogni dei più giovani nelle varie fasi della loro vita. Ad esempio, l’adolescenza non è solo un lungo periodo di transizione, ma è la preparazione della maturazione di un individuo».

Com’è la nostra scuola?

«Oggi la scuola sembra dare molta cultura agli studenti, ma in realtà non forma la persona. Invece è necessario insegnare ai ragazzi ad amare se stessi e gli altri, preparandosi per essere utili a chi è nel bisogno. Ad un bambino bisogna insegnare ad essere un rivoluzionario, nel senso di cercare sempre il bene maggiore da donare agli altri per migliorarne l’esistenza. Lo scopo della vita non può essere accumulare denaro, ma creare rapporti d’amore. Noi invece insegniamo ai bambini a diventare degli impiegati che devono ricevere uno stipendio! Oggi, piuttosto di aiutare i ragazzi ad esprimere la loro creatività in uno spirito di servizio, ci limitiamo ad istruirli per raggiungere titoli che gli permettano di guadagnare denaro. Invece di formare persone e cittadini che pensano a se ed agli altri, oggi trasmettiamo un unico valore: il denaro».

Quale dovrebbe essere il ruolo dei genitori?

«I genitori devono partecipare attivamente alla formazione dei loro figli. I bambini ed i ragazzi hanno bisogno di essere aiutati dalle famiglie e dalla scuola a maturare come uomini, come donne e come cittadini. Il padre e la madre non devono mai delegare alla scuola perché sono loro i principali formatori dei loro ragazzi; l’importanza della vita sociale ed il significato della scuola provengono dai genitori. È assurdo far studiare i propri figli per il voto! Dobbiamo invece educare un giovane ad essere una persona matura che sappia amare ed esprimersi creativamente in un’attività lavorativa che sia utile a chi è più debole».

Come dovrebbe essere il rapporto tra scuola e società?

«La scuola deve avere il sapore della società, perché ha l’enorme responsabilità di dover sfornare delle persone e dei cittadini. Secondo me, già a sedici anni i giovani dovrebbero essere coinvolti anche nella vita politica e sociale. Un adolescente deve sentirsi subito in grado ed in dovere di dare il suo contributo alla collettività, senza essere abituato a pensare solo al suo tornaconto personale in questa mentalità egoistica che oggi prevale.
Contemporaneamente, un adolescente deve poter ascoltare nelle aule scolastiche degli esperti e dei professionisti della vita di tutti i giorni, come direttori di banche o architetti o altro. Non si possono trascorrere anni ed anni solo ad accumulare nozioni senza avere una motivazione profonda allo sforzo formativo».

Da dove iniziare a cambiare le cose?

«La scuola dovrebbe essere completamente diversa e ci vorrebbe una vera rivoluzione già dalle elementari. Ma uscire da questa situazione è molto complicato. Dovremmo partire da una formazione profonda degli insegnanti che oltretutto dovrebbero vivere in prima persona i valori da trasmettere».

IL LUOGO DEI VALORI

La scuola deve ritornare ad essere il luogo dove, anche attraverso la disciplina, si trasmettono i valori del merito, della solidarietà, della responsabilità, del “ben fare” e della fiducia nel futuro, sottraendo i ragazzi agli effetti perversi della pubblicità. Per questo, ho intenzione di proporre al governo un intervento legislativo che introduca, a partire dalla quinta elementare, due ore settimanali, in cui genitori e figli insieme vengano istruiti ad una fruizione razionale e costruttiva delle reti telematiche, per evitare che si trasformino in strumenti di violenza, depravazione sessuale e alienazione.

Giovanni Bollea - Il Messaggero 4 agosto 2008

TORNA IL 7 IN CONDOTTA

Dopo esser stato lo spauracchio di intere generazioni di studenti, 10 anni fa era stato abolito il “voto in condotta”, compreso quel 7 che voleva dire bocciatura. Con l'anno scolastico 2008-2009 è tornato con il nome di “Valutazione del comportamento”. La sostanza comunque non cambia: il giudizio sul comportamento dello studente a scuola sarà dato dal Consiglio di Classe e potrà comportare anche la bocciatura. In particolare saranno puniti gli atti di bullismo o di esibizionismo, come i video messi su You-Tube.

Le ragioni per cui l'italia non è un Paese che fa largo ai Giovani

Un' interessante inchiesta pubblicata sul mensile online "acquaesapone" che analizza le cause, che coinvolgono anche noi, per cui per un giovane vivere in Italia è difficoltoso.

Chiamiamoli non più anziani, ma sempreverdi. La vita si allunga e, per gli italiani, gli anni dei capelli grigi non rappresentano più un incubo. Secondo il rapporto Censis Salute, l’85,8% degli intervistati over 60, ovvero di chi ha varcato la soglia di quella che una volta si definiva terza età, giudica positivamente la propria condizione: fanno ciò che vogliono, si sentono gratificati e contenti di ciò che hanno. Meno del 15% ritiene noiosa o troppo piena di guai la loro vita e, tra ciò che si desidererebbe fare, al primo posto figura l’attività fisica (49,2%), avere maggiori amicizie e rapporti con gli altri (45,3), dedicarsi ad un hobby o viaggiare. Anche per gli studiosi, la terza età non è più un periodo di decadimento, ma una fase dello sviluppo dell’individuo che, come le altre, si accompagna a processi di cambiamento, ma non risulta necessariamente peggiorativa. Dai dati Istat 2007, poi, si apprende che la speranza di vita nel nostro paese è attualmente di 77,7 anni per gli uomini e 83,7 per le donne e recentemente, da studi dell’Istituto Nazionale di Statistica, è scaturito che un nostro neonato su due ha fondate speranze di arrivare a spegnere cento candeline in buona salute.

Culle vuote e nonni al potere

Tutto bene, pare, ma abbiamo appena accostato i termini “Italia” e “neonati”: e qui i sorrisi cominciano a spegnersi. Perché il nostro, assieme al Giappone, è notoriamente quello con la popolazione più anziana e dove il tasso di natalità, con un numero medio di 1,2 figli per donna, rimane tra i più bassi in Europa (media 1,4) e nel mondo (media 2,8). Senza contare che una grossa mano alla cicogna lo danno i nuovi italiani figli di immigrati. Solo la Spagna nella UE ha un indice inferiore (1,1), mentre all’estremo opposto c’è l’Irlanda, con una media quasi doppia (2,0).
Culle vuote, dunque, ma il nostro è anche il Paese della gerontocrazia, con una classe dirigente tra le più vecchie d’Europa. In seguito ai rivolgimenti economici degli ultimi tempi, sono proprio coloro “che hanno intorno a trent’anni” ad aver pagato il prezzo maggiore alla crisi: sono stati i primi, affacciandosi al mondo del lavoro in concomitanza dell’entrata in vigore dell’euro, a vedere dimezzato il potere d’acquisto del proprio salario; sono loro ad aver sperimentato per primi le incognite del precariato, e, fa sapere l’ISTAT, in seguito all’attuale congiuntura economica hanno perso il lavoro quattro volte in più rispetto ai loro genitori. Una generazione compressa tra l’aumento della disoccupazione generato dalla crisi mondiale e la mentalità con cui è stata formata: quella, per intenderci, del posto fisso e delle mansioni canoniche.
La trentenne che cerca il lavoro da segretaria, o da operaia, commessa, insegnante, avrà sempre più difficoltà ad essere inquadrata “a tempo indeterminato” e dovrà probabilmente cambiare spesso occupazione. Sicuramente meglio si troverà invece la trentenne che cercherà di capire di cosa davvero il mondo del lavoro ha bisogno, cercando di diventare imprenditrice di se stessa, senza attendere troppo aiuti “istituzionali”.

L’Italia “regala” i giovani

L’emigrazione attuale non è più fatta di braccia, ma di cervelli, di teste cinte dal lauro accademico: emigrano in decine di migliaia l’anno, regalando ad altri Paesi una ricchezza che l’Italia costringe a portare altrove. Il nostro non è un Paese per giovani, ha sintetizzato Confindustria parafrasando la metafora del film dei fratelli Coen, in uno studio realizzato, mettendo in fila una serie di numeri, profili e previsioni sul mondo giovanile e l’istruzione. Qualche dato? Si calcola che il sistema Italia abbia speso oltre un miliardo di euro per l’istruzione di 11.700 giovani professionisti che ora lavorano (e producono) oltre confine. L’importo è stato quantificato dal blog “La fuga dei talenti”, incrociando gli ultimi dati Ocse (riferiti al 2006) sulla spesa per l’istruzione in Italia e il Rapporto sulla situazione sociale nel Paese del Censis, riferito allo stesso anno. L’istruzione di ciascun giovane italiano dalla scuola primaria fino all’Università costa infatti, secondo l’Ocse, oltre 100.000 euro. Se la moltiplichiamo per il numero dei giovani espatriati solo nel 2007 (almeno 11.700), tale esodo costa all’Italia oltre 1 miliardo e 170 milioni di euro investiti per la loro formazione, senza contare quello che non producono per noi. I neolaureati mettono le loro capacità al servizio di aziende e istituzioni straniere, che le investono in attività produttive e beneficiano dei loro frutti economici, e si tratta di fatto di un investimento “regalato” dall’Italia, dovuto in buona misura all’assenza di meritocrazia e alla poca partecipazione attiva degli under 40 nei processi decisionali del nostro Paese. Il processo non è certo controbilanciato dall’afflusso di “cervelli” stranieri nella penisola: come ha documentato la recente ricerca della Fondazione Rodolfo De Benedetti, in Italia - per ogni cento laureati nazionali - ce ne sono 2,3 stranieri contro una media UE di 10,45.

Una scuola di serie B

Ancora in tema di istruzione, i dati offerti da Confindustria non sono affatto incoraggianti. Il nostro sistema non riesce a raggiungere affatto i parametri europei fissati a Lisbona: i giovani che lasciano gli studi prematuramente (dopo l’istruzione di primo grado) sono il 19,8% contro l’obiettivo posto del 10%; il tasso di istruzione superiore è solo del 76% contro il traguardo dell’85%, i giovani italiani entrano nel mercato del lavoro mediamente tre anni dopo i colleghi europei e la nostra classe insegnante è la più vecchia d’Europa: un solo insegnante su cento (!) ha meno di trent’anni; in compenso, si fa per dire, l’età media dei ricercatori è ben oltre i 40. Abbiamo un quarto di borse di studio rispetto alla Francia e spendiamo per il diritto allo studio la metà della media UE. L’età media dei membri dei Consigli d’Amministrazione delle banche è di 15 anni superiore alla media continentale e, da un'analisi condotta sulla banca dati del Who's who (il database dei top manager pubblici e privati), risulta negli ultimi vent’anni un sensibile aumento dell'età dei dirigenti industriali italiani: si è passati da una media di 56,8 anni a una di quasi 61 (60,8 anni).

Che fare?

La ricetta di Confindustria

«Dobbiamo restituire il futuro ai nostri giovani», ha dichiarato il Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia nell’illustrare 4 proposte che sono state presentate al vaglio del Governo. Al primo punto figura l'abolizione del valore legale dei titoli di studio; seguono la flexicurity alla danese, (non è una parolaccia, significa che il giovane ha diritto a una formazione continua e parallela in cambio di obblighi progressivi di accettazione delle proposte di lavoro): la Danimarca ha introdotto questo sistema nel 1994 e da allora la disoccupazione giovanile si è ridotta dal 30% al 12,5%, la più bassa in Europa. Poi un piano di patrimonializzazione giovanile per permettere il proseguimento degli studi anche a chi parte da posizioni sociali svantaggiate e il compimento della riforma degli Istituti tecnici. Le proposte verranno presentate anche al Governo per trovare sbocco legislativo. «L'obiettivo - spiega la Marcegaglia - è fare di tutto perché i giovani non siano più i grandi esclusi di questo Paese».

Libere professioni

Buio pesto anche nelle libere professioni. Il giornalismo, la medicina, l'avvocatura e il notariato hanno tempi di accesso lunghissimi; per di più stage, tirocini gratuiti e condizioni di estremo precariato o sotto-occupazione si susseguono senza soluzione di continuità fino a oltre 40 anni. Qualche esempio: l'età media dei praticanti giornalisti è di 36 anni; i medici sotto i 35 anni sono poco meno del 12%, mentre i 35-39enni, rispetto a 11 anni fa, sono diminuiti del 13,8%. Gli avvocati, pur iscritti all'albo, sono a loro volta costretti per anni e anni a un ruolo umiliante di passacarte, e tra i notai due su dieci sono figli d'arte.

Giovani senza lavoro: ma dipende sempre dagli altri?

In Germania all’età di 18 anni la quasi totalità dei giovani esce dalla famiglia: per studiare lontani, mantenendosi spesso con piccoli lavori, o iniziare un’esperienza lavorativa. Certo la famiglia è sempre un paracadute pronto a salvarli dai fallimenti, ma i ragazzi che “tornano” a casa sono una percentuale bassissima. Stessa cosa negli Usa, in Gran Bretagna, in Francia, ecc... Lo sanno bene anche tutti i giovani italiani che hanno vissuto per un periodo all’estero, dove certo non affrontavano la vita con la passività che magari avevano in Italia.
è vero che il sistema italiano è meno meritocratico, più nepotista, più governato dai “vecchi”, ma quanta energia, quanta creatività dedicano i ragazzi italiani alla ricerca del lavoro? Quanto sono disposti a rischiare? Quanto davvero conoscono le proprie potenzialità?

Stipendio più basso

Lavori meno qualificanti, minori possibilità di emergere, retribuzioni più basse: se nel 2003 il guadagno medio lordo di un giovane d'età compresa tra i 24 e i 30 anni - si legge nel rapporto del Forum Nazionale dei Giovani e del Cnel in collaborazione con Unicredit Group - era di 20.252 euro, rispetto ai 25.032 euro percepiti dagli over50, nel 2007 il divario si è significativamente ampliato: a fronte dei 22.121 euro corrisposti agli under30, i 51-60enni hanno percepito una retribuzione media lorda di 29.976 euro.

Politica

I neoparlamentari hanno un'età media di 51 anni. Dal 1992 a oggi i deputati under35 non hanno mai raggiunto la soglia del 10% degli eletti, fatta eccezione per la XII° Legislatura nella quale costituivano il 12,4%. Tra i partiti la Lega Nord, unica eccezione, presenta un 20,1% di eletti tra gli over35 contro l'11,4% tra i 25-35enni; per gli altri partiti la percentuale di eletti in età matura è quasi il triplo (47,4%). E quindi i giovani sino ai 25 anni, che costituiscono il 18,7% della popolazione maggiorenne, hanno una rappresentanza pari solo a un terzo dell'incidenza effettiva sugli elettori.

Sotto i 35 anni, 1 su 2 è precario

Oltre un collaboratore su due con meno di 35 anni è precario: secondo l'Istat, il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, dopo un anno erano ancora nella medesima posizione. Ovviamente, chi lavora per 10 anni a progetto, come collaboratore o a tempo determinato, ogni volta è costretto a ricominciare dalla base della piramide, rimanendo escluso dalle posizioni di vertice.

Vecchi prof

Il mondo accademico somiglia sempre più ad un ospizio: tra i professori ordinari l'età media è di 59 anni. Nel dettaglio, la metà dei professori di prima fascia ha superato i 60 anni e circa 8 docenti su 100 (7,6%) hanno compiuto i 70 anni. Non va meglio per le fasce più basse: l'età media dei professori associati è di 52 anni e quella dei ricercatori è di 45. Solo il 3,4% di chi ottiene un dottorato di ricerca, infine, ha meno di 28 anni.

di Maurizio Targa

carta igienica

Una storia tenera e drammatica, come è tutto ciò che capita nelle scuole di questo nostro Bel Paese.

In alcune classi, dove ci sono alunni da pochi giorni nel nostro paese, la comunicazione è quasi impossibile per la distanza della lingua. Mi sono servito spesso del traduttore di google per un primo approccio e il sorriso amichevole di chi comprende l’ho visto disegnarsi sul loro volto. È bellissimo.
Peccato che il collegamento nella scuola è abusivo, o meglio è un wifi non criptato. Quando riuscirò a scoprire il proprietario lo ringrazierò per il prezioso servigio fornito alla scuola.

Abbiamo provato all’inizio dell’anno scolastico a diffondere la copertura wifi nella scuola per attivare lezioni multimediali, come la famosa lavagna interattiva del Ministero della Pubblica Istruzione, che altro non è, se non un proiettore, uno schermo pilotato da un computer. La risposta è la solita: non ci sono fondi. Per il progetto “copertura wifi” non sarebbero servite grosse cifre.

Questa mattina hanno bussato alla porta durante la lezione. Era il bidello, informava gli alunni che abbiamo esaurito la carta igienica…
…e io volevo il wifi…
Gabriele Sozzani lunedì 25 gennaio 2010
link:
http://gabrielesozzani.blogspot.com/2010/01/carta-igienica.html

La Scuola pubblica vista "nemica" da uno Studente di Liceo alla vigilia dell' Esame di Maturità 2009

I dati parlano chiaro: 28.000 studenti non ammessi all'esame di Maturità, il 50% in più rispetto allo scorso anno.
Tutto 'merito' del ministro più contestato degli ultimi anni, Mariastella Gelmini, soprannominata dagli studenti italiani Maria 'Star' Gelmini, per la sua totale indifferenza nei confronti delle manifestazioni studentesche contro i suoi provvedimenti. Manifestazioni che quest'anno sono arrivate a mobilitare anche più di un milione di persone tra studenti e professori nella sola città di Roma. Oltre ai numerosi tagli operati nella scorsa finanziaria e gli inutili provvedimenti per "ridare serietà alla scuola pubblica", alcune norme da lei introdotte hanno portato a questo esponenziale aumento dei non ammessi all'esame di stato (oltre a un raddoppiamento dei bocciati alle medie e un numero molto maggiore di studenti con debiti ai licei). Tra questi provvedimenti, i più duri da digerire sono l'obbligo di avere la media del 6 per essere ammessi agli esami e la bocciatura automatica con il 5 in condotta. Non trovo assolutamente giusto che due cambiamenti cosi significativi possano essere introdotti ad anno scolastico già inoltrato e debbano gravare sui ragazzi dell'ultimo anno, abituati nei 4 anni trascorsi nella scuola ad un minore rigore sui voti. Ma evidentemente il 6% di non - ammessi non era sufficiente per lei: infatti per gli studenti che dovranno dare l'esame il prossimo anno, Maria 'Star' ha in serbo un ulteriore inasprimento delle regole: per essere ammessi alla Maturità bisognerà avere il 6 in tutte le materie, obbligatorio e senza possibilità di medie. Personalmente in questi ultimi anni ho notato solo uno spacco sempre più profondo nella scuola, in seguito ai provvedimenti della Gelmini e alla riforma Fioroni: le scuole pubbliche si stanno svuotando.
Nel mio liceo (pubblico), negli ultimi due anni siamo passati da una media di 900 studenti complessivi a una media di 700. Molti miei amici e compagni si sono trasferiti in scuole private, costose ma di manica larga con i voti. Ragazzi che prima rischiavano il debito nel mio liceo, appena passati alle scuole private hanno iniziato a prendere tutti 8 e 9 nelle materie in cui prima zoppicavano, senza ovviamente cambiare metodo di studio o studiare di più. Anche molti ragazzi della mia scuola che quest'anno non sono stati ammessi agli esami cambieranno scuola, passando a una privata. Tutto questo processo secondo me porterà ad un unico risultato: si creerà, e si sta già creando, un enorme divario tra chi vuole studiare e chi non vuole o non riesce a farlo. Infatti, continuando di questo passo, nella scuola pubblica rimarrà solo chi è molto portato in tutte le materie e ha buone attitudini allo studio, mentre chi arranca in qualche materia, chi ha dei problemi a studiare e chi non ha una spiccata capacità di apprendimento sarà costretto a passare in scuole private o paritarie dove la promozione è garantita dalla retta pagata e dalle donazioni alla scuola. La mia opinione è che la scuola pubblica dovrebbe dare a tutti le stesse possibilità ed aiutare chi è in difficoltà in qualche materia, e non, come succede oggi, rinunciare a chi è in difficoltà, punendolo e bocciando, senza nemmeno provare a recuperare questi ragazzi. Spero che la Gelmini, dopo aver perso credibilità più volte nel corso del suo mandato che dura da appena un anno (l'ultima di queste gaffe è stata oggi, quando si è scoperto che uno degli allegati per una traccia dei temi della maturità riguardava il '68 e la sua cultura, quando appena ieri Maria 'Star' aveva dichiarato "La scuola buonista del '68 è stata archiviata"), verrà presto rimpiazzata da qualcuno più competente in materia di scuola, che sappia fare riforme che premino sì i meriti, ma che aiutino seriamente a recuperare chi è in difficoltà. Qualcuno che riesca a far capire il valore dell'istruzione e della cultura ai ragazzi della mia età, che non sanno più quali sono i valori da seguire e non sanno più pensare con la loro testa, merito della 'tivù spazzatura', del 'grande esempio moralmente formativo' dato da alcuni politici nell'ultimo periodo e di una scuola vista come 'nemica'.
luca92

fonte: diregiovani.it

Un'interessante proposta del Ministro Bondi per gli Insegnanti in esubero

E' una di quelle notizie che fanno saltare sulla sedia. Il Ministro dei Beni Culturali Bondi ha proposto, nel quadro della riforma del suo ministero, di utilizzare anche gli insegnanti in esubero (ovviamente con il loro accordo e d'intesa col ministero dell'Istruzione). La prima immagine che viene alla mente è quella di un insegnante seduto su una sedia a controllare i visitatori nella sala di qualche museo ma leggendo meglio la proposta emerge qualcosa di meno pessimistico.

(dal Corriere della Sera.it) "Questo è il pacchetto di proposte per il futuro dei Beni culturali firmato ieri dalla Uil-Beni culturali. La prima novità, che riguarda gli insegnanti, viene direttamente dal ministro Sandro Bondi che l'ha messa sul tappeto commentando il materiale prodotto dalla Uil: «Vorrei discutere col ministro Gelmini la possibilità di impiegare gli insegnanti in esubero nei musei e nella valorizzazione del nostro patrimonio artistico e ambientale. Potrebbero essere utilizzati anche come dirigenti di strutture se non addirittura di musei». Un'idea, quella di Bondi, che nasce da una considerazione: il personale dei beni culturali scarseggia, alcuni insegnanti invece potranno essere più numerosi del necessario."

Beh... direi che, a queste condizioni,  la cosa può essere molto interessante, se riguarda la direzione di strutture appartenenti ai Beni Culturali o dei Musei. Speriamo sia la volta buona che gli insegnanti vengano valorizzati per quello che meritano.

In crescita i giovani che dopo l’obbligo non proseguono gli studi, né trovano un impiego

Preccupante rapporto dell'Istat sull'occupazione, soprattutto quella giovanile che dopo la scuola dell'obbligo non prosegue gli studi superiori e, se lo cerca, non trova neanche lavoro.

(daFTAonline) In Italia, come in Europa, sembra non conoscere fine la caduta dell’occupazione. Se i dati di novembre erano stati i peggiori da molti anni a questa parte, quelle di dicembre hanno evidenziato un ulteriore scivolone. In questo contesto di difficoltà generalizzata, certo non sorprendono i numeri che dipingono le difficoltà nel rapportarsi al mondo del lavoro dei giovani italiani di età compresa tra i 19 e i 29 anni.

Occupazione mai così in basso dal 2004
A dicembre, la disoccupazione in Italia è salita a quota 8,5%, toccando il livello massimo dal 2004. Secondo i dati raccolti dall’Istat, nell’ultimo mese dello scorso anno gli occupati, nel nostro Paese, sono stati 22 milioni e 914mila (306mila unità in meno rispetto al dicembre 2008). Numeri simili equivalgono a dire che il tasso di occupazione italiano è pari al 57,1% (1,1% in meno rispetto a dicembre 2008), mentre le persone in cerca di lavoro sono 2 milioni e 138mila. Guardando all’andamento del mercato del lavoro, l’agenzia di rating Fitch ha stimato che in Italia il tasso di disoccupazione, nel 2010 e 2011, continuerà a crescere, mantenendosi tra il 9 e il 9,5%, con effetti particolarmente negativi su giovani, stranieri e lavoratori con contratti temporanei.

La generazione né-né
Tali numeri assumono un aspetto ancora più fosco se li si incrocia con altre statistiche derivanti da un’indagine del ministero del Lavoro a proposito del rapporto dei giovani italiani con il mondo del lavoro. Le rilevazioni, infatti, hanno messo in luce come in Italia il 9% dei ragazzi tra i 19 e i 29 anni dopo la licenzia media, nel 2009, non abbia né proseguito gli studi, né trovato un’occupazione. La generazione “né-né”, come è stata etichettata, è particolarmente presente nel Mezzogiorno: nelle regioni del Sud, infatti, il fenomeno tocca picchi del 15%; il che equivale a dire che su 3 milioni di ventenni che vivono al Sud, quasi mezzo milione non ha continuato la formazione dopo la scuola dell'obbligo pur non avendo un'occupazione.

Nel budget 2010 dei Conti Pubblici meno fondi alla Scuola

Tanto per cambiare nel 2010 saranno stanziati meno fondi alla Scuola. In particolare per l’istruzione scolastica si prevedono stanziamenti in calo del 2% (da 16,5 miliardi del 2009 a 15) concentrati soprattutto nella fascia della scuola secondaria. Per contro vi sarà un forte incremento degli stanziamenti per l’istruzione universitaria ma legati per la maggior parte ai fondi destinati agli istituti di alta cultura. A Ricerca e Innovazione vanno 75,5 milioni in più.
Stretta anche (-38,5%, -670 milioni) per le spese generali della Amministrazioni Pubbliche. Il costo del personale pubblico, tra retribuzioni e altre uscite, ammonta 79,9 miliardi, in lieve calo sul 2009.

Queste sono le novità contenute nel Budget dello Stato per il 2010, pubblicato oggi dalla Ragioneria generale dello Stato, da cui emergono anche più fondi destinati a sicurezza, ambiente e giustizia.

Meno Quantità e più Qualità nella riforma delle Superiori del Ministro Gelmini

Ancora una volta viene sbandierata una riforma “in stretto accordo con insegnanti e addetti ai lavori" come dice Silvio Berlusconi. Ed io ribadisco: chi sono questi insegnanti ed addetti ai lavori che hanno collaborato alla stesura di questa riforma? Esistono veramente o è un bluff per mettere un sigillo di condivisione ad un’iniziativa unilaterale e dirigistica? E poi, che fine ha fatto il Liceo Tecnologico?

( da periodicoitaliano.info) “Il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, non si è lasciata scoraggiare dagli scioperi e dalle contestazioni degli studenti e non ha alcuna intenzione di arrestare la sua opera riformatrice: “Più matematica, scienze e lingue straniere. Latino obbligatorio nei licei Classico, Scientifico, Linguistico e delle Scienze umane. Relazioni più strette con il mondo del lavoro e con l’università” ha dichiarato entusiasta. E questo sarà solo l’inizio per una delle Riforme del centro - destra che si preannunciano rivoluzionarie. La Gelmini ha già espresso il suo “No” a una scuola - parcheggio di studenti: ecco perchè l’obbligo d’istruzione è stato abbassato da 16 a 15 anni. Il ministero vuole offrire la possibilità di lavorare a chi non ama studiare, rendendosi dunque utile alla società e all’economia del nostro Paese. Il ministro, con il consenso del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha inoltre annunciato il via libera del Governo alla Riforma dele scuole superiori, Licei ed Istituti tecnici e professionali: “E’ un passo epocale che verrà attuato dal prossimo anno”, ha dichiarato. Ma non potevano mancare gli allarmismi: la senatrice del Pd, Mariapia Garavaglia, ha gridato subito allo scandalo, temendo una nuova Riforma Gentile del 1923, promulgata durante l’epoca fascista.
Sonora la risposta di Silvio Berlusconi: “La verità è che una riforma organica delle superiori era attesa da decenni. E il fatto che a vararla sia un Governo di centro - destra rappresenta per la sinistra una bruciante sconfitta. Con queste riforme, dal prossimo anno scolastico avremo delle scuole che potranno essere comparate a quelle dei Paesi europei più avanzati”. Una riforma avanzata, in stretto accordo con insegnanti e addetti ai lavori: leggi per il popolo e con il popolo. Secca la risposta del Ministro Gelmini alle critiche avanzate dall’opposizione: “La sinistra è allergica alle riforme e rappresenta solo la conservazione e la difesa a oltranza dell’indifendibile. La scuola cambia e non sarà più un ammortizzatore sociale”. Per il Presidente dell’Associazione nazionale Presidi, Giorgio Rembado, è una “riforma necessaria e ineludibile”.
Tra le novità: riduzione dell’orario delle lezioni, gli studenti italiani sono quelli che trascorrono più ore tra i banchi di scuola, ma con risultati scarsi. Da 1089 ore annue scenderemo a 977 (media Unione Europea);. Nei Licei: basta indirizzi sperimentali e progetti fittizi. I licei saranno solo sei. Nell’Artistico dominano sei indirizzi: arti figurative, architettura e ambiente, audiovisivo e multimedia, design, grafica e scenografia. Al Liceo classico più matematica e una lingua straniera. Al Liceo scientifico tre lingue straniere e potenziamento delle discipline matematiche. Ma le novità più attese sono il Liceo musicale e coreutico (“Sarà obbligatiorio studiare la mia musica e quella del maestro Apicella” ha ironizzato il nostro presidente del Consiglio) e il Liceo delle Scienze umane, che sostituisce il vecchio Liceo sociopedagogico.
Per gli istituti tecnici e professionali, la Gelmini promette che “non sarà istruzione di serie B”. Anzi, “sarà la migliore risposta della scuola alla crisi e favorirà il contrasto della dispersione scolastica”. Più ore di laboratorio, più stage, tirocini e alternanza scuola - lavoro. Perchè se tempo fa la scienza si affermò grazie alla tecnica, oggi il mondo del lavoro, per progredire, ha bisogno di tecnici e professionisti di alto livello. Non solo intellettuali da Liceo, dunque.

Fabio Giuffrida

Un articolo sulla Scuola "salvata" che vale la pena di commentare

Riporto un articolo di Marcello Veneziani sulla riforma della scuola che, in alcuni passaggi, giudico addirittura sconcertante. E' l'ennesima persona che, per il solo fatto di essere stato studente, crede di sapere tutto della Scuola sin nei più reconditi meandri. Esprimere un parere è lecito, pontificare no. Soprattutto se si sta parlando di qualcosa che non si conosce, se non marginalmente.

(ilGiornale.it) Finalmente il Sessantotto va in pensione con la riforma della scuola. Dopo i guasti dell'immaginazione ritorna la realtà e si mette ordine al caos delle materie. Non foss'altro che per questo, siamo grati alla Gelmini e al governo Berlusconi. E l'assenza di campagne contro la riforma mostra la scarsità di argomenti contro. Di più non poteva fare Mariastella Gelmini. Ragionevole, realista, la sua riforma migliora le condizioni della scuola italiana. Solo un governo coeso, non ricattato da partitini e lobby, con un'ampia maggioranza in Parlamento e un largo consenso nel Paese, poteva permettersi di riformare la scuola.

Se i ministri e i governi vanno giudicati attraverso i paragoni, la riforma Gelmini è decisamente preferibile alla riforma Berlinguer, svetta rispetto ai tentativi a volte anche encomiabili di De Mauro e Fioroni e segna un passo avanti rispetto alla svolta impressa alla scuola dalla stessa Moratti, che aveva un impianto manageriale-privato più che scolastico-educativo. Alcuni ministri della scuola del centrosinistra pensavano anche loro che si dovesse tornare alla serietà degli studi e alla selezione, dunque avevano aspirazioni non lontane da quelle che hanno animato la Gelmini; ma lavoravano sull'orlo precario di governi risicati, ricattati da sinistre radicali, comunisti, verdi e sessantottini e gli annunci di serietà e selezione finivano maledetti nel gorgo del nulla.
Non so, in verità, se davvero si tratti di una svolta storica e di una riforma epocale, come dice la Ministro con comprensibile fierezza. E non paragono l'apprezzabile impianto della riforma Gelmini alla grande riforma di Gentile che fu l'architrave storica della scuola italiana o anche alla grande innovazione di Bottai, che fu il ministro più rivoluzionario, più «a sinistra» e più modernizzatore della scuola, benché d'epoca fascista; aprì la scuola al nuovo, alla tecnica e alla scienza senza far perdere la meritocrazia, l'educazione nazionale e l'aspirazione alla qualità. A limitare lo sguardo alla Repubblica, non credo che ci siano stati tentativi migliori di cambiare la scuola. Quasi tutte le riforme, da quella di Gui a quella di Misasi, da Ferrari Aggradi a Sullo e alla Falcucci, più sottofondo di Moro ed Andreotti, dalla scuola media unica ai decreti delegati, una sfilza numerosa di ministri della Pubblica istruzione democristiani incisero male sulla scuola italiana, e ne favorirono il declino.
Uno dei migliori del passato, massacrato dalla demagogia studentesca e sindacale, fu non a caso un ministro mosca bianca perché non democristiano: fu il liberale Salvatore Valitutti, non a caso di scuola gentiliana. Ricordo gli slogan contro di lui: Valitutti Valiniente. Slogan falso e ingeneroso, che ignorava la statura intellettuale e civile del galantuomo liberale. Ma con quei governicchi lì, che duravano poco, vivevano di mediazioni interne e di compromessi con la sinistra e i sindacati, che si poteva fare? Quando si farà la storia della Dc alla guida dell'Italia si potranno scrivere pagine positive e negative; ma penso che sulla scuola e la cultura il potere democristiano abbia scritto le pagine più brutte.
  Insomma in un bilancio storico, la riforma scolastica del governo Berlusconi, nel tempo della crisi, è sicuramente un passo avanti e segna un'inversione di tendenza. Però lasciatemi dire una cosa: i ministri e i governi sono impotenti a mutare il corso della scuola, il suo profilo e il suo ruolo nella società. La scuola vive un inarrestabile declino, paragonabile alla tv pubblica. Un declino che non può essere fermato dalle leggi, perché il marcio è negli uomini e nella mentalità. Non potendo cambiare quelli, perché è impossibile cambiare i due terzi dei docenti italiani, la scuola s'infrange nella sua stessa inadeguatezza. E non avviando alcuna rivoluzione culturale nel Paese, non riuscendo a bilanciare il potere della agenzie private (a cominciare dal web e dalla stessa tv) con una crescita civile e culturale dello spirito pubblico, la scuola vive un'indecorosa marginalità. Non è più al centro ma alla periferia dei processi innovativi, ai margini della cultura, di cui è un malfamato e popoloso sobborgo, pervasa da piagnistei e rancori, latitanze e ritardi, ideologie e ignoranze militanti.
  Da decenni non è più un luogo formativo, non seleziona classi dirigenti e società del futuro, vive una lungodegenza in vistoso affanno sulla vita. Il suo declino è un processo che viene da lontano, è troppo difficile arrestarlo ed impossibile farlo a suon di leggi e di riforme, pur benememerite. E si innesta poi sulla crisi demografica del Paese, sull'assenza di utenti, cioè i ragazzi, a parte i rinforzi che vengono dagli immigrati, che però pongono più problemi che soluzioni. Naturalmente, questa considerazione non deve indurre al disarmo e al disfattismo. Le riforme si devono fare, tutti i tentativi per migliorare la scuola vanno fatti e non si deve abbandonare la nave alla bufera. Ma non aspettatevi la resurrezione dalla scuola, non riponete troppe aspettative sulla riforma e poi non prendetevela con la Gelmini e il suo governo se la scuola resterà affogata nei suoi malanni. È un pachiderma malato, a cui prestare le dovute terapie perché sul suo dorso ci sono pur sempre i cittadini del futuro. Abbiate cura di lei, ma non fatevi illusioni.

Nuove regole per la Carriera dei Docenti

Pubblico uno stralcio dell'intervista, rilasciata a settembre 2009 al mensile Tuttoscuola, in cui il Ministro Gelmini fa un elenco di buoni propositi. Dopo 4 mesi forse si può fare un primo bilancio. Cosa è cambiato? Quel famoso tavolo di consultazione è stato aperto? C'è qualcuno che vi ha partecipato e ce ne può parlare? Troppo spesso si propongono riforme aggettivandole con "condivise" dagli insegnanti. Io vorrei capire meglio come, dove, quando e chi, della nostra categoria, ha condiviso. Fatemi sapere, Grazie

"Entro sei mesi intendo definire le regole per la carriera dei docenti. Vorrei farlo con il coinvolgimento dei sindacati e delle associazioni professionali. Apriamo un tavolo, sono aperta a consigli, suggerimenti, proposte, non ad una contrattazione sindacale. Se dopo sei mesi si sarà pervenuti a una soluzione condivisa bene, altrimenti il Governo andrà avanti per la propria strada prendendosi tutte le responsabilità. E' una cosa troppo importante, un passaggio fondamentale per arrivare a quella valorizzazione dei docenti che tutti vogliamo".


"Se ci si vuole arrivare, sei mesi sono più che sufficienti, non perderò e non farò perdere questo treno alla scuola. Del resto siamo tutti d'accordo, ritengo, sul fatto che la qualità della scuola è data prima di tutto dalla qualità delle persone che la rappresentano. Ebbene dobbiamo essere tutti consapevoli che se la carriera resta quella che è, o mi lasci dire quella che non è, non avremo mai le migliori risorse sulle nostre cattedre. Dobbiamo attrarre verso l'insegnamento le risorse migliori, i cervelli più brillanti, quelli in grado di accendere la scintilla della conoscenza nei nostri studenti. Come farlo? Discutiamo di questo".


"Io dico che prospettare un percorso in cui chi dà di più può raggiungere uno status e dei riconoscimenti anche economici di tutto rispetto possa rendere più appetibile una professione che è in se stessa affascinante, ma che oggi presenta troppi fattori disincentivanti per i giovani più motivati. Mi chiedo se ci può essere oggi qualche giovane brillante e ambizioso che possa essere attratto dalla prospettiva di entrare in ruolo a 40 anni per guadagnare 1.300 euro al mese. Lo chiedo ai sindacati, ci può essere? Lo dico chiaramente: l'insegnamento non può essere una professione di serie B, non può essere il ripiego nel caso non siano andate bene altre strade o per chi vuole conciliare un impiego a mezzo servizio con altri impegni. Oggi in troppi casi, non nascondiamolo, è così".