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Un interessante articolo sugli effetti del Decreto 159/09 di Brunetta

Il decreto n.150/09, al Capo V, rivoluziona tutta la materia delle sanzioni disciplinari e delle responsabilità dei dipendenti pubblici, comprendendovi anche il personale della scuola. Contrariamente a quanto avvenuto con le norme contenute nei Titoli II e III , vale a dire misurazione,valutazione della performance nonchè merito e premi, i cui limiti e modalità di applicazione sono rinviate per il personale docente della scuola/Afam/ricercatori ad un apposito DPCM, per quanto attiene alle norme del Titolo IV,Capo V in materia disciplinare, non viene operato alcun distinguo, equiparando il personale docente al restante personale del pubblico impiego.

Identiche le infrazioni, identiche le sanzioni tanto per il commesso ministeriale quanto per il docente o ricercatore universitario. Cancellati con un colpo di spugna, la specificità della scuola, gli organi di garanzia e di tutela della libertà d’insegnamento, sancita dall’art.33,comma 1 della Costituzione repubblicana che recita: "L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento". Messi così a rischio d’un sol colpo sia la libertà d’insegnamento, vale a dire l’autonomia didattica nel suo profilo metodologico e contenutistico sia la libertà dell’insegnamento con riferimento all’ambito organizzativo e strutturale.
Lo stesso art.1 del Dlgs. n. 297/94 che ben definisce la libertà d’insegnamento come "autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente…diretta a promuovere attraverso il confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni…nel rispetto della loro coscienza morale e civile ", rischia di rimanere lettera morta, ingabbiato sempre più nelle trame di un disciplinare, finalizzato anch’esso, tramite la dirigenza "a garantire la piena e coerente attuazione dell’indirizzo politico in ambito amministrativo" .
E chi se ne frega della libertà d’insegnamento, dell’autonomia didattica, della specificità della scuola e della peculiarità della dirigenza scolastica. Chi dovrà decidere, in attesa degli organismi che saranno preposti a valutare anche nella scuola merito, carriera e professionalità degli insegnanti, organismi per ora rinviati ad un apposito DPCM ? Chi deciderà nel frattempo dell’insufficiente rendimento, dell’inefficienza o incompetenza professionale, del licenziamento di un docente ?
Secondo il decreto Brunetta, i nuovi Uffici di disciplina istituiti presso l’Usp che possono comminare sanzioni da 11 giorni di sospensione fino al licenziamento. Uffici composti esclusivamente da funzionari dell’Amministrazione, senza alcuna rappresentanza del corpo docente come invece erano i Consigli di disciplina. Con l’abolizione dei Consigli di disciplina, sparisce ogni garanzia della libertà d’insegnamento, voluta dal precedente legislatore coi decreti delegati del ’74 , con lo stato giuridico specifico e distinto da quello degli impiegati civili dello Stato (TU n.3/57 ). Un ritorno al passato, agli anni cinquanta tanto cari all’attuale governo di centrodestra, preso a modello per contro riformare la scuola e non solo.
A questa svista politico-culturale se ne aggiunge un’altra di natura tecnico-giuridica. Nelle foga abrogazionista, introdotta dal decreto 150/09, è sfuggito, proprio in materia disciplinare , tutto l’articolato contenuto nel Dlgs.n.297/94 riguardante procedure, competenze e sanzioni del personale docente non di ruolo. L’art.72 del decreto n.150 si limita ad abrogare per i docenti soltanto gli art. dal 502 al 507 del 297/94 che riguardano esclusivamente il disciplinare del personale di ruolo. Per effetto della Legge n.69/09,voluta dall’attuale governo, i testi normativi devono obbligatoriamente indicare le norme che si intendono sostituire,modificare o abrogare in maniera esplicita e non più tacita (cfr.art.3).
Viene così introdotto nell’ordinamento un principio di legge dell’abrograzione esplicita non derogabile. Per effetto di tale norma , rimangono in vigore le norme disciplinari per i docenti precari : 5mila a Milano, 10mila in Lombardia, quasi 100mila in tutta Italia. Se la prima svista potremmo classificarla funzionale all’obiettivo , la seconda più banalmente è una sbadataggine . Entrambe le sviste testimoniano, comunque, quanto poco conosce la scuola chi ci governa.

Pippo Frisone

Fonte:ScuolaOggi.org                 (segnalato da lucy)

LA LINGUA CAMBIA,MA COME E PERCHE'?

Nel ringraziare Ipnos x la brillante e coraggiosa idea di aprire un blog dedicato a noi prof, desidero iniziare la mia collaborazione proponendo un articolo di Maurizio Tiriticco pubblicato su ScuolaOggi che affronta il tema dei cambiamenti linguistici e dei fenomeni con cui la scuola si deve confrontare dal momento che viviamo in una società in continuo cambiamento. Visto che abbiamo a che fare con i "nativi digitali", sarà il caso che cerchiamo di capire quali caratteristiche stanno emergendo nell'uso linguistico e come dobbiamo orientare la nostra azione in merito.
Il dibattito è aperto!

La lingua cambia, ma come e perché?
La questione della lingua non è cosa d’oggi! Se ne è sempre parlato, e scritto, ma solo
in particolari momenti della nostra storia, quando un certo assetto sociale è investito da
una crisi di cambiamento che lo attraversa in tutte le sue strutture socioeconomiche ed
ovviamente anche in quelle culturali e linguistiche. Il De vulgari eloquentia dantesco
affrontava il problema della lingua e sosteneva, anche se in latino, che il volgare poteva
veicolare concetti forti di cui tutti avrebbero potuto fruire, e non solo quei dotti che,
mentre in casa macinavano volgare, quando scrivevano scimmiottavano malamente il
“latino di Cicerone”, ammesso poi che il latino medievale avesse qualcosa in comune con
quello cosiddetto classico. Della lingua si è discusso in età rinascimentale e in età
barocca, tutta intesa quest’ultima ai “distinguo” tra le finalità dialettiche, dimostrative, e
quelle retoriche, persuasive. Per certi versi anticipavano quello che oggi è il clou del
linguaggio pubblicitario, sempre attento a descrivere la bontà e la necessità del prodotto
reclamizzato, ma anche a convincere il potenziale cliente! Di lingua si è discusso a lungo
in età risorgimentale quando l’opzione per il toscano, più o meno lombardizzato, mise
all’angolo le altre lingue bollandole come dialetti! Sono solo fugaci accenni che
meriterebbero maggiore spazio, ma ciò che mi interessa sottolineare è il fatto che non è
nuovo discutere di lingua quando si attraversano profonde modifiche nell’assetto
socioeconomico di un Paese.
Ma ogni modifica ha le sue caratteristiche e queste dell’Italia di oggi sono molto
diverse e ben più complesse rispetto a quelle che nel corso della nostra storia si sono
affrontate. Un tempo la questione della lingua, fatta esclusione del periodo
risorgimentale, non riguardava la popolazione nella sua interezza, ma ristretti gruppi di
parlanti e – non dimentichiamolo – di scriventi, considerando che la grande maggioranza
della popolazione era esclusa dalla lingua letto/scritta. La questione che si poneva non
era solo quella del modello da adottare, ma anche di come estendere a gruppi più ampi di
intellettuali i saperi che via via si venivano costruendo e consolidando. Insomma i
confronti erano di natura interlinguistica, se si può usare questa espressione. Oggi la
situazione è ben diversa, perché entrano in gioco fattori nuovi, extralinguistici, direi,
quello della strumentazione adottata e quello degli utilizzatori.
In primo luogo occorre considerare l’impatto provocato da quei complessi strumenti di
comunicazione che giorno dopo giorno le tecnologie della comunicazione ci propongono.
Non fu la stessa cosa, quando la carta e la stampa intervennero a misurarsi con la
pergamena, il papiro, l’amanuense, perché la strumentazione non metteva in discussione
la natura e la struttura della lingua, fatto sempre salvo il principio che il mezzo, anche se
non è il messaggio, come vogliono alcuni, lo condiziona sempre fortemente. In secondo
luogo c’è la questione degli utilizzatori. La carta stampata permetteva l’ampliamento della
platea degli utenti i quali avrebbero dovuto via via misurarsi con lingue scritte
riconosciute e diffuse ed eventualmente abbandonare la lingua dell’uso corrente, della
famiglia, del piccolo gruppo, il linguaggio cosiddetto ristretto. Gli utilizzatori di oggi,
invece, sono già di per sé portatori di un linguaggio veicolare comune molto ampio e
diffuso, quella delle cosiddette tribù, termine che non a caso ritorna in tanti spot
pubblicitari di telefonini e prodotti similari. E, soprattutto, sono alfabeti!
Mentre nei tempi passati c’era una lingua letto/scritta che si proponeva ed imponeva
nei confronti di tante lingue parlate e a poco a poco finiva con l’imporsi su di esse o di
riconoscerle come dialetti, vernacoli o quello che fossero, a volte anche con una loro
dignità letteraria (un Belli e un Porta fanno testo in merito), oggi il letto/scritto si deve
misurare con altrettanti letto/scritti, estremamente diffusi, ma sulla cui dignità di lingua
semanticamente e sintatticamente ricca e corretta si possono sollevare seri dubbi.
In altri termini, va sottolineata la seguente differenza: il nostro parlante fino a ieri
frequentava la scuola ed apprendeva quella lingua letto/scritta che lo avrebbe affrancato
dall’ignoranza – termine da usare con tanto di virgolette, ovviamente – e che gli avrebbe
consentito di misurarsi con i tanti Gianni – ricordando Don Lorenzo – padroni del “codice
elaborato”; il parlante di oggi frequenta la scuola, ma propone già una sua lingua
letto/scritta appresa da quelle tante istanze informali e non formali di cui la nostra
società affluente e tecnologica è straricca.
Si è così creata, e nel corso di un tempo relativamente breve, una situazione assai
complessa: da una lato c’è una lingua italiana che si è venuta costruendo ed arricchendo
nei secoli, forte e chiara per quanto riguarda sia il lessico (la ricchezza dell’enciclopedia e
del vocabolario) che la grammatica (la fonetica, l’assetto morfologico e quello sintattico);
dall’altro c’è un pullulare di linguaggi che assolvono brillantemente ai compiti della
comunicazione interpersonale, ma scivolano infelicemente quando si devono misurare
con il letto/scritto consolidato dalla tradizione. Di qui tutte le lamentele di insegnanti
della scuola secondaria e dell’università che fanno fatica a dialogare con soggetti la cui
strumentazione linguistica è di un’estrema povertà, lessicale e sintattica.
Ma la cosa più grave è che, se è vero, com’è vero, che tra pensiero e linguaggio il
rapporto è dialettico, a povertà di linguaggio corrisponde povertà di pensiero. Ad
esempio, l’uso dominante della coordinazione, a scapito della subordinazione, non facilita
i processi di analisi, di ricerca, che richiedono, invece, un pensiero/linguaggio articolato
e complesso. Così, gli allora, i poi, i dunque, gli anche, i cioè abbondano e sono sostituiti
da mille interiezioni, che cavolo, per la miseria, che palle e mille cosiddette parolacce che
in effetti parolacce non sono più, ma semplici e poveri nodi che permettono di legare
proposizioni e condurre a compimento il discorso. Di qui la decadenza di alcuni tempi
dell’indicativo, del futuro anteriore, del trapassato prossimo, dello stesso modo
congiuntivo.
La questione non è semplicemente linguistico-formale; il fatto è che è difficile
elaborare pensieri complessi, quanto mai necessari, oggi, per leggere e comprendere certi
fenomeni della realtà contemporanea. Il contadino di un tempo era considerato
analfabeta perché non sapeva leggere e scrivere, ma era assolutamente alfabeta in un
contesto socioeconomico in cui il linguaggio letto/scritto non era necessario; e la sua
ricchezza linguistica – ed intellettuale – gli era data dalla tradizione orale da cui traeva
tutti gli strumenti per sopravvivere, lavorare la terra e socializzare con il suo gruppo.
Forse è veramente analfabeta un certo giovane di oggi che, ristretto nella
comunicazione tramite telefonini, blog, chat, youtube, difficilmente può accedere a quella
complessità che il mondo contemporaneo ci propone in dosi sempre più massicce.
Ovviamente senza nulla togliere a certe soluzioni veloci a cui ci costringe l’esiguo numero
di caratteri da usare per gli sms. Del resto la stenografa di un tempo aveva il grande
merito di scrivere con la stessa rapidità del dettante.
Da quanto detto emergono una constatazione ed una prima conclusione: il problema
della lingua oggi non va assolutamente posto con i criteri di un tempo, quando esisteva
un modello a cui tutti i parlanti/scriventi dovevano attingere; è il modello stesso che va
messo in discussione per renderlo flessibile a certe istanze che vengono “dal basso” – se
si può dir così – e che costituiscono interessanti segnali per un rinnovamento
complessivo della comunicazione linguistica. A mio avviso, ci troviamo di fronte ad una
fase evolutiva estremamente interessante e nuova, che non possiamo affrontare con gli
strumenti di un tempo, quando, cioè, sulla base di un lessico e di una grammatica
consolidata, si insegnava a leggere e scrivere, e poi anche a parlare e ascoltare, ai nuovi
nati e/o ai nuovi arrivati (questi ultimi sono oggi in numero crescente). Le sollecitazioni
che vengono “dal basso” non sono un assalto alla diligenza, sono manifestazioni di
necessità comunicative nuove con cui occorre fare i conti. Insomma, non dobbiamo fare i
saccenti che correggono, ma i maestri che comprendono. A questo punto il discorso si fa
complesso e non vorrei dar luogo a cattive interpretazioni.
E’ solo una sollecitazione per pensare insieme ed insieme operare, sul campo della
ricerca da un lato, su quello della scuola dall’altro, con tutti gli opportuni scambi di
esperienze e di riflessioni. E, se non erro, la Crusca, intelligentemente condotta da
Nicoletta Maraschio, non è insensibile ad un discorso di questo tipo.
Roma, 18 gennaio 2010
Maurizio Tiriticco

La scuola pubblica, a sorpresa, piace al 60% degli italiani

CIO' CHE sorprende maggiormente, nell'indagine condotta da Demos nei giorni scorsi, è il grado di consenso per la scuola pubblica: ampio e perfino in crescita rispetto a un anno fa. Nonostante l'ondata di discredito che - da anni e tanto più in questi tempi - sta sommergendo le istituzioni scolastiche. Ma soprattutto quei "maledetti professori"... Pretendono di insegnare in una società che non sopporta i "maestri" - figuriamoci i professori. Nonostante l'ondata di risentimento contro tutto ciò che è pubblico e statale. Scuola compresa.


Perché oggi lo Stato è rivalutato, ma come barelliere della finanza ammalata; come pronto soccorso del mercato ferito. Nonostante il conseguente calo dei fondi pubblici, che si ripete da anni, con ogni governo, di ogni colore. Perché, per risparmiare, si riducono le spese improduttive. Come vengono ritenute, evidentemente, quelle sostenute per la scuola, la formazione e la ricerca. Nonostante il contributo offerto dal sistema scolastico stesso al proprio discredito. Per le resistenze opposte dagli insegnanti ai progetti di riforma volti a valutarne il rendimento e a premiarne il merito.

Per le degenerazioni del reclutamento universitario, i concorsi pilotati, a favore di amici e parenti fino al terzo grado. Nonostante le interferenze dei genitori, pronti a chiedere rigore e autorità ai professori. Pronti a difendere i propri figli contro i professori (lo ammettono 7 italiani su 10).

Nonostante tutto questo, la scuola, i maestri, i professori "del sistema pubblico" godono ancora di stima e considerazione fra i cittadini. In particolare:

a) il 60% e oltre degli italiani si dice soddisfatto (molto o moltissimo) della scuola pubblica di ogni ordine e tipo. E, nel caso delle scuole elementari, il gradimento sfiora il 70% degli intervistati, senza grandi differenze di età, genere, ceto; ma neppure di orientamento politico.

b) Parallelamente, il 64% dei cittadini manifesta (molta o moltissima) fiducia negli insegnanti della scuola "pubblica". Penalizzati, secondo il 40% degli intervistati, da stipendi troppo bassi.

n entrambi i casi - scuola pubblica e insegnanti - il giudizio appare migliorato rispetto a un anno fa. In evidente contrasto con la rappresentazione dominante, al cui centro campeggiano l'insegnante fannullone e incapace, la scuola inefficiente e sprecona. Argomenti politici e mediatici di successo, che fra i cittadini non sembrano, tuttavia, attecchire. La scuola e gli insegnanti godono, al contrario, di buona reputazione. E non per "ideologia" o per pregiudizio politico. Fra gli intervistati, infatti, appare ampia la consapevolezza dei problemi che la affliggono. Il distacco nei confronti del mercato del lavoro, la violenza, l'incapacità di ridurre le diseguaglianze, la preparazione inadeguata degli insegnanti. Ancora: lo scarso rilievo attribuito al merito, sia per gli studenti che per i loro insegnanti. Infine, anzi, in testa a tutto: la penosa penuria di risorse.

I provvedimenti della ministra Mariastella Gelmini, peraltro, non sono catalogati attraverso pre-giudizi generalizzati. Vengono, invece, valutati in modo distinto, caso per caso. Una larghissima maggioranza degli intervistati si dice favorevole: al ritorno del voto in condotta, dei grembiulini, degli esami di riparazione. Novità antiche che piacciono perché propongono soluzioni semplici a problemi complessi. Evocano la tradizione e la nostalgia per curare i mali odierni. Si rivolgono, in particolare, alla domanda d'ordine e di autorità, che oggi appare diffusa.

Il giudizio, però, cambia sensibilmente quando entrano in gioco temi che richiamano l'organizzazione didattica e il modello educativo. In primo luogo: il ritorno del "maestro" unico alle elementari. Un provvedimento che divide gli italiani. Non piace, anzi, a una maggioranza, per quanto non larghissima. Mentre è nettissimo, plebiscitario il dissenso verso la chiusura degli istituti con meno di 50 studenti (in un Paese di piccoli paesi, come il nostro, si tratta di una diffusa reazione di autodifesa). Ma anche verso la scelta di differenziare (per quanto transitoriamente) le classi per gli studenti stranieri e italiani. Perché, al di là del merito, il provvedimento sembra dettato da preoccupazioni di consenso più che di inserimento.

Mentre fra gli italiani, anche i più insicuri, è ampia la convinzione che famiglia e scuola siano i principali canali di integrazione (e di controllo sociale).

Semmai, appare più ideologica la base del consenso per le politiche del governo, che ottengono il massimo grado di sostegno fra le persone più lontane dalla scuola, per esperienza personale e familiare: gli anziani, le famiglie dove non vi sono né studenti né docenti. Al contrario, le resistenze crescono nelle famiglie dove vi sono insegnanti o studenti. Ma soprattutto nei confronti dei provvedimenti meno popolari: maestro unico e classi differenziate per stranieri. Ciò suggerisce che l'opposizione alle politiche della scuola, elaborate dalla ministra Gelmini, sia dettata, in buona misura, dall'esperienza delle famiglie e delle persone.

Da ciò un giudizio complessivamente negativo nei confronti della riforma, ma anche verso l'azione della ministra. Rimandate entrambe, non bocciate senza appello. In altri termini: gran parte degli italiani è d'accordo sulla necessità di riformare la scuola.

Tuttavia, alla fine sul giudizio dei cittadini e degli utenti gli aspetti concreti pesano assai più di quelli simbolici. E il ritorno dei grembiulini e del voto in condotta non giustificano, agli occhi dei più, il taglio dei finanziamenti, il maestro unico, le classi "dedicate" per gli stranieri. C'è difficoltà a immaginare la possibilità di curare la scuola amputandone gli organi vitali. Riducendo ancora risorse ritenute oggi largamente inadeguate. Ciò spiega il consenso largamente maggioritario a sostegno delle proteste contro la riforma, che da qualche settimana agitano le scuole e affollano le piazze. Coinvolgendo, insieme, studenti, professori e genitori.

A differenza del mitico Sessantotto, evocato spesso, a sproposito, in questi giorni - per "colpa" dell'anniversario (40 anni) e per pigrizia analitica. In quel tempo gli studenti contestavano il passato che ingombrava, pesantemente, la società, la cultura, le istituzioni. Zavorrava le loro aspettative di vita e di lavoro. Per cui manifestavano e protestavano "contro" la società adulta. "Contro" i professori e i loro stessi genitori. Oggi, al contrario, il malessere degli studenti nasce dal furto del futuro, di cui sono vittime. La loro rivolta "generazionale" incrocia la protesta "professionale" dei professori e la solidarietà dei genitori, a cui li lega un rapporto di reciproca dipendenza, divenuto sempre più stretto, negli ultimi anni. Da ciò un problema rilevante per i giovani, i figli e gli studenti. Magari sconfiggeranno la Gelmini. Ma come riusciranno a "liberarsi" davvero con la complicità degli adulti, il permesso dei genitori, e il consenso dei professori?

di ILVO DIAMANTI

fonte: Repubblica.it

Maledetti professori

IL "PROFESSORE", ormai, primeggia solo fra le professioni in declino. Che insegni alle medie o alle superiori ma anche all'università: non importa. La sua reputazione non è più quella di un tempo. Anzitutto nel suo ambiente. Nella scuola, nella stessa classe in cui insegna. Gli studenti guardano i professori senza deferenza particolare. E senza timore. In fondo, hanno stipendi da operai specializzati (ma forse nemmeno) e un'immagine sociale senza luce. Non possono essere presi a "modello" dai giovani, nel progettare la carriera futura. Molti genitori hanno redditi e posizione professionale superiori. E poi, la cultura e la conoscenza, oggi, non vanno di moda. E' almeno da vent'anni che tira un'aria sfavorevole per le professioni intellettuali. Guardate con sospetto e sufficienza.

Siamo nell'era del "mito imprenditore" . Dell'uomo di successo che si è fatto da sé. Piccolo ma bello. E ricco. Il lavoratore autonomo, l'artigiano e il commerciante. L'immobiliarista. E' "l'Italia che produce". Ha conquistato il benessere, anzi: qualcosa di più. Studiando poco. O meglio: senza bisogno di studiare troppo. In qualche caso, sfruttando conoscenze e competenze che la scuola non dà. Si pensi a quanti, giovanissimi, prima ancora di concludere gli studi, hanno intrapreso una carriera di successo nel campo della comunicazione e delle nuove tecnologie.
Competenze apprese "fuori" da scuola. Così i professori sono scivolati lungo la scala della mobilità sociale. Ai margini del mercato del lavoro. Figure laterali di un sistema - la scuola pubblica - divenuto, a sua volta, laterale. Poco rispettati dagli studenti, ma anche dai genitori. I quali li criticano perché non sanno trasmettere certezze e autorità; perché non premiano il merito. Presumendo che i loro figli siano sempre meritevoli.

Si pensi all'invettiva contro i "professori meridionali" lanciata da Bossi nei giorni scorsi. Con gli occhi rivolti - anche se non unicamente - alla commissione che ha bocciato "suo figlio" agli esami di maturità. Naturalmente in base a un pregiudizio anti-padano. I più critici e insofferenti nei confronti dei professori sono, peraltro, i genitori che di professione fanno i professori. Pronti a criticare i metodi e la competenza dei loro colleghi, quando si permettono di giudicare negativamente i propri figli. Allora non ci vedono più. Perché loro la scuola e la materia la conoscono. Altro che i professori dei loro figli. Che studino di più, che si preparino meglio. (I professori, naturalmente, non i loro figli).

Va detto che i professori hanno contribuito ad alimentare questo clima. Attraverso i loro sindacati, che hanno ostacolato provvedimenti e riforme volti a promuovere percorsi di verifica e valutazione. A premiare i più presenti, i più attivi, i più aggiornati, i più qualificati. Così è sopravvissuto questo sistema, che penalizza - e scoraggia - i docenti preparati, motivati, capaci, appassionati. Peraltro, molti, moltissimi. La maggioranza. In tanti hanno preferito, piuttosto, investire in altre attività professionali, per integrare il reddito. O per ottenere le soddisfazioni che l'insegnamento, ridotto a routine, non è più in grado di offrire. Sono (siamo) diventati una categoria triste.

Negli ultimi tempi, tuttavia, il declino dei professori è divenuto più rapido. Non solo per inerzia, ma per "progetto" - dichiarato, senza infingimenti e senza giri di parole. Basta valutare le risorse destinate alla scuola e ai docenti dalle finanziarie. Basta ascoltare gli echi dei programmi di governo. Che prevedono riduzioni consistenti (di personale, ma anche di reddito): alle medie, alle superiori, all'università. Meno insegnanti, quindi. Mentre i fondi pubblici destinati alla ricerca e all'insegnamento calano di continuo. Dovrebbe subentrare il privato. Che, però, in generale se ne guarda bene. Ad eccezione delle Fondazioni bancarie. Che tanto private non sono. D'altra parte, chissenefrega. I professori, come tutti gli statali, sono una banda di fannulloni. O almeno: una categoria da tenere sotto controllo, perché spesso disamorati e impreparati. Maledetti professori. Soprattutto del Sud. Soprattutto della scuola pubblica. E - si sa - gran parte dei professori sono statali e meridionali.

Maledetti professori. Responsabili di questa generazione senza qualità e senza cultura. Senza valori. Senza regole. Senza disciplina. Mentre i genitori, le famiglie, i predicatori, i media, gli imprenditori. Loro sì che il buon esempio lo danno quotidianamente. Partecipi e protagonisti di questa società (in)civile. Ordinata, integrata, ispirata da buoni principi e tolleranza reciproca. Per non parlare del ceto politico. Pronto a supplire alle inadempienze e ai limiti della scuola. Guardate la nuova ministra: appena arrivata, ha già deciso di attribuire un ruolo determinante al voto in condotta. Con successo di pubblico e di critica.

Maledetti professori. Pretendono di insegnare in una società dove nessuno - o quasi - ritiene di aver qualcosa da imparare. Pretendono di educare in una società dove ogni categoria, ogni gruppo, ogni cellula, ogni molecola ritiene di avere il monopolio dei diritti e dei valori. Pretendono di trasmettere cultura in una società dove più della cultura conta il culturismo. Più delle conoscenze: i muscoli. Più dell'informazione critica: le veline. Una società in cui conti - anzi: esisti - solo se vai in tivù. Dove puoi dire la tua, diventare "opinionista" anche (soprattutto?) se non sai nulla. Se sei una "pupa ignorante", un tronista o un "amico" palestrato, che legge solo i titoli della stampa gossip. Una società dove nessuno ritiene di aver qualcosa da imparare. E non sopporta chi pretende - per professione - di aver qualcosa da insegnare agli altri. Dunque, una società senza "studenti". Perché dovrebbe aver bisogno di docenti?

Maledetti professori. Non servono più a nulla. Meglio abolirli per legge. E mandarli, finalmente, a lavorare.

di ILVO DIAMANTI

fonte: Repubblica.it

Draghi: Bisogna aumentare l'età di pensionamento

MILANO - Innalzare l'età pensionabile. La necessità individuata dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, vede vari ministri su posizioni differenti e il parere contrario degli istituti di previdenza (Inps, Inpdap) e dei sindacati, mentre la Confindustria dice che «passi avanti sono stati fatti, ma si può fare di più».

DRAGHI - Il tasso di copertura assicurato in Italia dal pilastro pubblico ai futuro pensionati «sarà più basso, a parità di età di pensionamento, di quello che il sistema ha garantito finora», ha detto Draghi, e quindi «per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati è indispensabile un aumento significativo dell'età media effettiva di pensionamento».

SACCONI - Secondo il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, invece, le riforme sulle pensioni già fatte sono «più che sufficienti». Sacconi sottolinea che ci sono due stabilizzatori del sistema: l'adeguamento dei coefficienti di trasformazione dei contributi e la norma prevista nel decreto anti-crisi che adegua l'età pensionabile all'aspettativa di vita a partire dal 2015. «La nostra riforma nel provvedimento "anticrisi" - spiega Sacconi a margine della presentazione del rapporto Inpdap - non può essere sottovalutata perché non ha determinato forme di mobilità sociale. Già dall'anno prossimo si calcola l'andamento dell'aspettativa di vita in modo che dal 2015 ci sia un aumento automatico corrispondente e proporzionale. Da allora ogni 5 anni ci sarà un adeguamento». «Credo che un meccanismo di questo genere - aggiunge Sacconi - sia più che sufficiente visto che si combina con quanto previsto dai governi Dini e Prodi sulla caratura delle pensioni». Alla domanda se le riforme fatte quindi bastano, Sacconi risponde: «Ragionevolmente sì».

PDL PER DRAGHI - Adolfo Urso, vice ministro allo Sviluppo economico, ritiene invece che le riforme sin qui realizzate non bastino e dà ragione a Draghi. «L'innalzamento dell'età pensionabile non è più un tabù, ma una necessità che va realizzata in maniera più compiuta nel quadro di un processo di riforma che si fondi su un nuovo patto generazionale e possa avere la più ampia condivisione possibile. Il governo si è gia mosso su questa strada, ma credo che una riflessione più ampia vada fatta nella seconda fase della legislatura». Sulla linea di Urso sono tre deputati del Pdl, Giuliano Cazzola, Benedetto della Vedova e Raffaello Vignali: «Draghi ha ragione quando invita a mettere all'ordine del giorno una riforma delle pensioni che abbia al suo centro l’innalzamento dell’età pensionabile». Anche un altro deputato Pdl, Giorgio Jannone, presidente della commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali, appoggia Draghi: «Le riforme approvate e quelle in itinere garantiscono la stabilità del sistema per i prossimi anni, anche se i mutamenti demografici richiederanno ulteriori interventi».

CONFINDUSTRIA - «La nostra posizione sulle pensioni è nota», ha spiegato la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. «Pensiamo che si possa fare di più. È vero che, come dice Sacconi, nel decreto anticrisi ci sono stati ulteriori adeguamenti che entreranno in funzione del 2015 e saranno una sorta di meccanismo di stabilizzazione. Si dovrà riflettere se farlo entrare in funzione prima, ma qualche passo in avanti è stato fatto». Chiarisce ulteriormente il vice presidente degli imprenditori Alberto Bombassei: «Sono assolutamente d'accordo con Draghi. Confindustria lo dice da molti anni, fa piacere che piano piano un po' tutti si convincono che l'innalzamento dell'età pensionabile è una misura necessaria».

«IL SISTEMA TIENE» - Antonio Mastropasqua, presidente dell'Inps, e Paolo Crescimbeni, presidente dell'Inpdap, sono invece in disaccordo con Draghi: «A oggi il sistema tiene e i conti Inps lo dimostrano», ha dichiarato Mastropasqua. «Con la riforma Dini che va a regime piano piano, e con il decreto legge anticrisi che contiene una norma che adegua l'età pensionabile alle aspettative di vita e decorre dal 2015, il sistema tiene». Aggiunge Crescimbeni: «La norma inserita nel decreto anticrisi sull'adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita è una formula sufficientemente risolutiva».

SINDACATI - «Già quando c'è stato l'aumento dell'età pensionabile nel settore pubblico avevamo detto che non era quello il modo di affrontare il tema. Se si vuole discutere di pensioni bisogna affrontare tutti i problemi. Ci vuole un tavolo per affrontare tali questioni», ha affermato il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Anche Renata Polverini, segretario generale dell'Ugl, giudica che «dobbiamo affrontare un problema più generale e complessivo, all'interno del quale le pensioni rappresentano solo una delle questioni, e non sul piano dell'età». «La ricetta di Draghi è socialmente iniqua e totalmente lontana dalla realtà», afferma in una nota il segretario nazionale della Fiom Giorgio Cremaschi.

RIFONDAZIONE - Chiaro no a Draghi da parte di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista: «Se si aumentasse l'età pensionabile, aumenterebbe la disoccupazione giovanile, peggiorerebbe l'occupazione e la disastrosa crisi economica e sociale che stiamo vivendo si aggraverebbe di molto».

fonte: corriere.it

Come ci vedono: gli insegnanti e le ferie

Alcuni commenti raccolti qua e la per il web, illuminanti sul comportamento dei figli in classe, sul tema delle ferie ai professori. A queste persone vorrei fare solo una domanda: "ma tu dove stavi mentre io studiavo?"

• Troppe ferie sì, ai prof e maestri/e, allora dovrebbero farne altrettante anche i bidelli, non vivono nelle scuole con i Prof ecc.? la furbizia degli insegnanti, si basa sulla reperibilità, sono reperibili ma, chi li chiama per esempio per dare ripetizione ai ragazzi/e? Qui, Brunetta dovrebbe intervenire.


• penso che le ferie siano sempre troppe senza contare che difficilmente facciano tutte le ore della giornata scolastica per tutta la settimana!Io conosco una insegnante che lavora 19 ore settimanali io ne faccio 36! PRENDIAMO ANCHE LO STESSO STIPENDIO

• Parlate solo di ferie, ma cosa dite delle finte malattie. Il prof di matematica di mio figlio faceva mesi di assenza, pagata per stare nel suo ufficio. Ovviamente era ingegnere e aveva uno studio.Un caso isolato di furbetteria? Noooo uno come taaaanti. E potrei continuare....

• Ciao a tutti. Io non dico che gli insegnanti debbano fare poche ferie, pero' sarebbe tutto più semplice (per noi genitori, soprattutto per chi come me ha una bimba piccola) se le scuole tenessero un'apertura anche nei mesi estivi (magari facendo dei gruppi di studio, facendo "turnare"gli insegnanti in modo da tenere le scuole aperte ed evitarci gravosissime spese di baby- sitting.

• Troppe...si troppe ferie ai prof...vedi le ultime festività ...natale ..fine anno ecc...ma chiudiamole le scuole.... tanto oggi i bambini nascono già "imparati" e se qualcuno si sente un pò "indietro" c'è comunque la play station game boy i canali di pupazzi di sky ..senza dimenticare poi la "TELEVISIONE" pip baud,striscia, grande fratello,amici...nemici...ecc ecc...viva l'Italia!!

• Troppe ferie,troppa ignoranza, e troppe "musse" cioè troppe chiacchiere e perdite di tempo con progetti e storielle che non adducono a nulla e poco hanno a che fare con l'insegnamento, a messo che questi abbiano qualcosa da insegnare. Pagati poco e male e pur ci vanno, vuol dire che meglio non hanno, o non possono avere e allora cosa possono dare .

• Parliamo delle maestre delle scuole elementari? Loro non hanno di certo gli esami di maturirà che li impegnano fino a metà luglio...Mia zia è maestra ed è a casa luglio e agosto con obbligo di non potersi spostare perchè potrebbero chiamarla a lavoro per sistemare carte o altro (cosa che però non capita MAI quindi di fatto sta a casa due mesi) più le vacanze di natale, pasqua, carnevale. Sono gli insegnanti a lamentarsi sempre...mentre tutti i comuni lavoratori hanno 20 giorni di ferie tutto l'anno e stop.

• un 'insegnante a quanto so io quadagna 1500 euro/mese per 14 mensilità , fa tre mesi di ferie e le ore settimanali in cui insegna/corregge compiti/non sono sicuramente 40 .(poi da aggiungere 1500 se una lo fa a milano la cifra con il rapporto costo della vità è quella , ma se una è prof. al sud è come se in proporzione prendesse 2400 euro /mese). poi una volta un proff mi ha detto "ma noi dobbiamo fare corsi di aggiornamento ...." , e perchè noi dipendenti o operai non dobbiamo costantemente aggiornarci per stare al passo con i tempi ??? i professori vanno bene perchè sono attaccati alla grossa mammella dello stato . punto

CONTINUA

Obbligo di frequenza

Mi piace segnalarvi in questo mio post una trasmissione radiofonica che va in onda su "Radio 24" la radio de "Il sole 24 ore".
La trasmissione si intitola "Obbligo di frequenza" e ha come sottotitolo: "Uno sguardo ai cambiamenti e alle novità della scuola".
Questo è il suo obiettivo:
Una volta si sceglieva un liceo, una facoltà universitaria e il gioco era fatto: famiglie e studenti sapevano cosa li aspettava. Ora non è più così: la scuola è molto cambiata e la rivoluzione non è ancora finita. “Obbligo di frequenza” tutte le domeniche vi aiuta ad approfittare delle nuove offerte.
La cosa interessante di questa radio, come d'altronde anche di altre, è che si possono scaricare i suoi contenuti in formato mp3 ed ascoltarli col computer o con un qualsiasi lettore di mp3.
In particolare vi voglio segnalare la trasmissione andata in onda il 26 settembre 2009 dal titolo "L'hard disk è un gruppo rock".
Un amore contrastato quello dei prof per le tecnologie. Secondo un'indagine Edutech, quasi il 70 per cento dei prof usa abitualmente un computer, ma non va molto oltre. E proprio il gap tecnologico crea disagio negli insegnanti nel rapporto con i ragazzi. Lo rivela uno studio della Fondazione Agnelli.
Link:
Home page della trasmissione
http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=Obbligo_di_frequenza
puntata che potete scaricare
http://www.radio24.ilsole24ore.com/radio24_audio/090926-obbligo-di-frequenza.mp3

In Francia corsi di Autorità per i Professori per gestire alunni difficili

Da quest’anno i professori francesi potranno iscriversi al “corso di Autorità” per imparare a gestire gli alunni più indisciplinati. L’iniziativa è stata lanciata da un docente che insegna nelle Banlieue, ben conosciuti quartieri alla periferia di Parigi che, evidentemente, scampato agli alunni di quel contesto molto problematico, ha pensato di condividere questa sua “metodologia” con altri insegnanti.

A me questa iniziativa fa piacere per due motivi: il primo è che fa nascere in me la speranza che possa esistere una ricetta miracolosa per gestire gli alunni più indisciplinati; la seconda perché finalmente si parla di disciplina e si fa qualcosa di concreto per affrontarla, per il momento in Francia ma, se funzionerà, c’è da scommettere che arriverà anche in Italia.

Il ministero dell’Educazione francese ha già dato il suo benestare per una prima serie di dieci lezioni. Obiettivo è ottenere rispetto dagli alunni, stabilire il comportamento da tenere in classe, saper impartire la buona educazione.

Nuove fasce di reperibilità nella P.A. per le assenze per malattia, L’opinione di Massimo Argenziano, dell'Università degli studi di Genova

A settembre le assenze per malattia dei dipendenti pubblici segnano +24,2%

Il ministro della Pubblica amministrazione e l'Innovazione, Renato Brunetta, ha presentato, il 29 ottobre scorso, la rilevazione sulle assenze per malattia dei dipendenti pubblici del mese di settembre. I dati del monitoraggio indicano un incremento a doppia cifra delle assenze per malattia rispetto allo stesso mese del 2008: +24,2% (+19,4% per le assenze superiori a dieci giorni).
Il dato esprime una tendenza già evidenziata con la rilevazione di agosto (+16,7%), che non può sorprendere ove si pensi che il rapporto percentuale esprime la relazione tra valori, settembre 2008-settembre 2009, che si collocano in una fase successiva all'applicazione delle misure di contrasto all'assenteismo di cui al Dl n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, mentre fino al luglio 2009 il confronto era tra "pre" e "post" riforma.

L'"effetto annuncio"
Il ministero che, comunque stima una riduzione complessiva delle assenze nel primo anno di applicazione della legge n. 133/2008 pari al 38% (riferito al complesso delle amministrazioni pubbliche, ad esclusione dei comparti Scuola, Università e Pubblica sicurezza), ci offre una lettura semplificata del fenomeno:
• il forte decremento registrato nel primo anno di applicazione della riforma è dovuto in parte al c.d. "effetto annuncio" che avrebbe "spinto le assenze sotto i livelli fisiologici" (che vuol dire che molti lavoratori pubblici hanno reso la propria prestazione lavorativa in stato di malattia);
• l'opera intrapresa, limitando l'uso distorto delle assenze, garantisce la stabilizzazione dei valori su un livello più basso rispetto a quello precedente;
• le variazioni più o meno intense sono la conseguenza di fenomeni epidemiologici, ovvero di ripresa dei comportamenti opportunistici.
Le fasce di reperibilità ripristinate dal Dl "78"
I valori delle ultime rilevazioni sono ritenuti troppo elevati per rappresentare un assestamento fisiologico, d'altronde di difficoltosa quantificazione, o una maggiore esposizione a fenomeni epidemiologici, ma semmai vengono considerati il risultato della modifica delle fasce di reperibilità avvenuta nel mese di luglio 2009 (Dl n. 78/2009, convertito dalla legge n. 102 del 3 settembre 2009), che "può aver agito sulla probabilità di un uso distorto della malattia".
Ai fini dell'effettuazione dei controlli, il dipendente pubblico era, infatti, tenuto a osservare fasce orarie di reperibilità (8.00-13.00 e 14.00-20.00) più ampie di quelle previgenti ed applicate all'universo del lavoro dipendente.
Il citato decreto legge n. 78/2009, ripristinando le fasce orarie (10.00-12.00 e 17.00-19.00) entro le quali devono essere effettuate le visite di controllo, avrebbe creato l'"occasione" per il ritorno all'abuso dell'istituto.

Le misure previste dal Dlgs "150"
A tale segnale di una ripresa dei comportamenti opportunistici il ministro Brunetta intende rispondere rilanciando l'azione di contrasto all'assenteismo attraverso l'ampio strumentario dissuasivo previsto dal recente Dlgs n. 150/2009, attuativo della legge delega n. 15/2009.
In particolare, le novità annunciate dal ministro per la Pubblica amministrazione e l'innovazione riguardano:
• l'invio per via telematica dei certificati medici, ad opera del medico o della struttura sanitaria pubblica, all'Inps. L'Inps a sua volta li invierà, sempre per via telematica, all'amministrazione di appartenenza del lavoratore. Sono applicate sanzioni in caso di inosservanza degli obblighi di trasmissione telematica;
• l'obbligo, in caso di assenze protratte per più di 10 giorni e dopo il secondo evento, di avere un certificato della struttura sanitaria pubblica o del medico convenzionato con il Ssn;
• l'attribuzione al ministero per la Pubblica amministrazione e l'innovazione del compito di fissare le fasce orarie di reperibilità. Con decreto verranno introdotte fasce orarie più lunghe di quelle vigenti (9.00-13.00 e 15.00-18.00) , ma verranno contestualmente previste alcune eccezioni rispetto all'obbligo di reperibilità in considerazione di particolari patologie o situazioni;
• la responsabilizzazione del dirigente nell'applicazione delle disposizioni che contrastano l'assenteismo, con sanzioni disciplinari nel caso di mancata vigilanza (decurtazione della retribuzione di risultato o mancata attribuzione della stessa, sospensione dal servizio con privazione della retribuzione);
• l'introduzione di sanzioni disciplinari, amministrative e penali (licenziamento disciplinare, multa e reclusione) per il dipendente nel caso di falsa attestazione della presenza o di certificazione medica falsa;
• l'applicazione al medico che attesta il falso di sanzioni disciplinari, penali e amministrative (radiazione dall'albo, licenziamento se dipendente di struttura sanitaria pubblica o decadenza della convenzione con il Ssn, reclusione e multa).

Considerazioni critiche
Su alcuni di questi provvedimenti, la cui efficacia ed effettività dovrà essere verificata a regime, ho già espresso perplessità in sede di commento al decreto delegato .
L'intenzione di voler procedere a innalzare nuovamente le fasce orarie, portandole a 7 ore giornaliere, merita invece un approfondimento.
Intanto, non pare agevolmente apprezzabile il diretto collegamento tra la riduzione delle fasce orarie operata con la succitata manovra estiva e il consistente aumento delle assenze nei mesi di agosto e settembre.
A dire il vero in materia il Dl n. 78/2009 andava oltre la ridefinizione della reperibilità, abrogando il co. 5 dell'art. 71 della legge n. 133/2008, che disponeva che "le assenze dal servizio dei dipendenti di cui al comma 1 non sono equiparate alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa […]".
Seguendo il filo logico del ragionamento del ministro, la rimozione di questa sostanziosa penalizzazione economica avrebbe dovuto stimolare opportunismi tra i dipendenti pubblici, mentre i dati del monitoraggio mostrano addirittura un ulteriore decremento delle assenze per motivi diversi dalla malattia, - 2,4%, e per le assenze superiori a dieci giorni per malattia è dato registrare un valore percentuale contenuto rispetto al totale delle assenze.
La "leva" della reperibilità sconta poi una sostanziale inadeguatezza quale elemento dissuasivo: in presenza di fasce più ampie, maggiori sono le possibilità per il lavoratore di addurre giustificati motivi di assenza dal proprio domicilio.
Difatti, per consolidato orientamento giurisprudenziale, l'assenza al controllo non è sanzionabile in presenza di stato di necessità, forza maggiore o un serio e fondato motivo determinante un ragionevole impedimento ad adempiere all'obbligo di rendersi reperibili al controllo. Ovviamente, l'assenza del lavoratore è legittima quando il differimento della stessa oltre le fasce di reperibilità può creare pregiudizio per un apprezzabile interesse meritevole di tutela.
In buona sostanza, l'ampliamento delle fasce in sé non costituisce un'azione incisiva nella politica di riduzione dell'assenteismo. Tuttavia, non è revocabile in dubbio come interventi immediati e diretti di questo tipo, di cui vengono esaltati gli aspetti sanzionatori e repressivi, incontrino un largo favore nell'opinione pubblica determinando quello che lo stesso ministero definisce "effetto annuncio", con positive ricadute in termini di contenimento del fenomeno.
Si tratta, peraltro, di azioni i cui effetti hanno una tenuta limitata nel tempo, quando non adeguatamente sorretti da interventi articolati e complementari. Da questo punto di vista si deve notare come la cura adottata e ad oggi prescritta per contrastare l'assenteismo sia ancora di tipo sistemico e sintomatico, mancando di una adeguata attività di anamnesi in grado di disaggregare e di analizzare dati che presentano apprezzabili differenze non solo tra amministrazioni o macro-aree geografiche, ma anche a livello di ogni singola amministrazione.

Conclusioni
L'assenteismo è un fenomeno complesso che si manifesta attraverso differenti modalità, dall'eccessivo uso dei permessi retribuiti alle sistematiche assenze per malattia ed infortunio, dall'utilizzo di aspettative e permessi per motivi personali e familiari all'assenza dal servizio "sotto timbro" o alla mancanza sistematica di puntualità o di rispetto dell'orario minimo di lavoro, e che non può essere ridotto ad un rapporto tra la volontà fraudolenta del lavoratore e la carenza di controlli.
Non si vuole in questa sede negare l'apprezzabile risultato ottenuto dalle politiche governative di contrasto, ma si desidera porre l'accento sulla necessità di compiere un salto di qualità con un'azione più mirata ed equa, indirizzata ad isolare ed eliminare gli agenti patogeni prima ancora degli effetti da questi procurati.
Non è superfluo ricordare quale complessità di aspetti sociologici ed ambientali sia collegabile al comportamento dei lavoratori, ed alla relazione tra essi e le amministrazioni, e come interagiscano le condizioni di lavoro complessive.
Formazione, mobilità, elasticità negli orari di lavoro, motivazione, coinvolgimento nei processi decisionali, gratificazione economica e professionale, finanche attività sociali, microclima e salubrità dell'ambiente di lavoro, si sono dimostrati fattori essenziali nel migliorare le condizioni lavorative limitando i conflitti psicosociali che sono alla base del deterioramento delle relazioni tra lavoratore e impresa.
Forse allora l'incremento dell'assenteismo evidenziato nel documento presentato a Palazzo Vidoni, più che stimolare una reazione immediata e ripetitiva, dovrebbe insinuare il dubbio circa la validità di interventi, repressivi, punitivi, unilaterali, centralistici ed indiscriminati, i quali equiparando essenzialmente l'assenza all'assenteismo, potrebbero paradossalmente peggiorare la situazione per il loro impatto sugli aspetti motivazionali.
Affrontare viceversa le cause scatenanti, anche tramite progetti di brainstorming che enfatizzino la complementarietà tra i diversi ruoli, dirigenti, lavoratori e rappresentanze sindacali, in modo cooperativo e reticolare, anche potrà nel tempo circoscrivere il fenomeno consentendo l'adozione di misure più appropriate, condivise e funzionali ad ottenere risultati strutturali, stabili e duraturi.

fonte: Guida al Pubblico impiego n. 11/2009


Video clip sulla Lavagna Interattiva Multimediale

Mi piace iniziare la mia collaborazione a "Tuttoprof" con un a serie di video sulla Lim, che a mio giudizio sarà la tecnologia su cui dovremo confrontarci nel futuro immediato.
Ringrazio Ipnos, ospite di questo blog, per lo spazio che gentilmente ci concede.
Una serie di video dedicati alla lim e al suo uso reperiti su youtube.
Qusto post verrà aggiornato ogniqualvolta troverò video interessanti sulla lavagna.
Buona visione.
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